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Abbiamo trovato l’anima
del Rock allo stato liquido

QUINDI CREÒ LA LUCE

Quando una linea di basso rompe le difese, penetra come burro il forte delle nostre certezze, quando la batteria sostiene l’attacco, serra i ranghi come spuma inafferrabile, quando le chitarre danzano intorno alla melodia, insediandosi imperiose fin negli angoli più remoti delle coscienza, quando il rock è padre e figlio e moglie ed è amante possiamo finalmente godere appieno del vino.

Quando inaspettato un profumo ti riempie, dai nari dritto all’ipotalamo scatenando il caos della memoria, quando il liquido alimenta l’entropia, stimolando nello stesso istante tutta la bocca, quando il sapore ed il peso, il fuoco, il ghiaccio svaniscono per un istante, per tornare d’imperio ad appagare i sensi, allora il vino è l’amico ritrovato, è il calore domestico ed il sapore dell’avventura, è rock. 



Alchimisti dello spirito i grandi chitarristi, alchimiste sottosopra le piante di vite, dalla relazione-rock assorbono, digeriscono, sintetizzano, cambiando la forma ma lasciando intatta la sostanza, roccia liquida. ‘E qui che l’uomo interviene a trasformare nuovamente l’acqua di roccia, l’innesto vitale dei lieviti, il controllo sapiente dei batteri dona il calore all’acqua, un calore/colore che fissa e stabilizza i minerali, li rende fruibili e in grado di interagire con il tempo e rallegrare l’umanità.
Selezioniamo vini che come il rock creino dipendenza, un dose sia pur piccola tutti i giorni, tutte le notti, dissetando senza saziare. 
Vini che come la musica, siano da godere fino all’ultima goccia, collante tra persone mai viste prima che condividono lo spazio sotto il palco e saltano e godono con ogni centimetro del corpo. 
Perché il buon vino come il buon rock, non fa distinzioni tra corpo e anima, possiede i corpi non solo attraverso le orecchie ma entra dalla pancia, dalle piante dei piedi, dalle anche instancabili e indistintamente colpisce senza discrimine di genere, di censo, di cultura. 
      
Vini che diventano ballate struggenti che palesano le radici blues, ballate urbane tese o più delicate storie di amori tormentati, storie di lembi di terra contesi alle rocce, di sudore, polvere e sangue, storie di contrasti familiari, di padri, nonni, di zii che accampano diritti, di mogli, giovani compagne o impazienti arrampicatrici. 
Altri vini, altri accordi e ritmi più intensi, vengono da giovani impazienti bottiglie, riff precisi di frutto e alcool con impennate graffianti di tannino, svisate devianti di terziari al limite doloroso. Che dire di quelli distaccati, aristocratici nell’incedere, imperiosi ed opulenti, come il passo di certi rocker inglesi dalle movenze vittoriane sul palco, e gli spartiti, di quelli allucinati sconvolti da lampi, da profumi inesplorati, acidi come il progressive con il rumore che miracolosamente si ricompone e fluisce oleoso, con regale incedere. 


Negli anni, nelle bevute tra amici più che nelle degustazioni solenni, abbiamo cercato e trovato il ritmo del vino, come non riconoscere, il procedere saltellante sghembo quattro quarti di certi giovani rossi della costa, ragazzacci impuniti lontani dal glamour delle feste a palazzo, assetati di musica e sesso o l’incedere sontuoso ed elegante a tre quarti di certi bianchi granitici o montanari in velluto purpureo che calano a valle senza fare prigionieri. 
Fummo conquistati dai trilli anarchici punk di certi spumanti, dal marciare ritmato e concreto dei rossi meridionali, una vera fanfara hard rock, abbiamo goduto della beva rilassata a due tempi, dei sapidi bianchi del mare.
Pieni e mai sazi, continuiamo a cercare il distillato purissimo della roccia, custodito in mille e mille vini per condividerlo con chi lo apprezza.

Bruno De Conciliis